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Premio letterario Prato: da rassegna della Resistenza a prestigiosa iniziativa culturale

Oltre quarant'anni di storia ripercorsi nel libro di Alessandro Bicci

Un'iniziativa culturale che ha caratterizzato Prato, soprattutto negli anni '50-'60 del secolo scorso, contribuendo a far conoscere opere letterarie quali “Lettera ad una professoressa” o “Il maestro di Vigevano”: è il Premio letterario Prato creato nel 1948 e attivo per oltre quarant'anni.
 
Alla storia di questo premio e alla sua importanza per il panorama della letteratura italiana è dedicato il saggio “Il Premio Letterario Prato 1948-1990, storia di un'iniziativa culturale” scritto dal giornalista e scrittore Alessandro Bicci e pubblicato da Pentalinea.
 
L'idea di scrivere questo libro è nata qualche anno fa – ci spiega l'autore, Alessandro Bicci - Nel 2000 era scomparso Lemno Vannini, fondatore e segretario del “Premio Prato” dal 1948 al 1976. Ho avuto la possibilità di consultare il suo carteggio, disponibile presso l’Istituto culturale e di documentazione “Alessandro Lazzerini”, che ricostruisce a fondo la storia della manifestazione letteraria in quel periodo. Approfondendo aspetti come la stesura del bando di concorso, i rapporti con i giurati, le forme di finanziamento del premio e le testimonianze dei vincitori.
Altre informazioni le ho ricavate da filze speciali e altri atti dell’Archivio generale del Comune di Prato, oltre a ricuperare notizie tratte da periodici nazionali e locali.
Infine è stato utile anche l’apporto del comitato di Prato dell’A.N.P.I. (Associazione nazionale partigiani d’Italia), che mi ha fornito altri elementi utili ai fini di questa pubblicazione, che ricostruisce la vita di un’iniziativa culturale che ha caratterizzato la città dal 1948 al 1990”.
 
In cosa il Premio Prato si distingueva rispetto agli altri premi italiani?
A.B. “Dopo la parentesi iniziale del 1948, il “Premio Prato” divenne ben presto conosciuto come manifestazione della Resistenza. Gli autori presentavano allora opere di saggistica e di narrativa che esprimevano vicende e avvenimenti, direttamente o indirettamente legati alla lotta partigiana. Questa tradizione si espresse dal 1951 al 1961. Negli anni immediatamente successivi si cercò di dare un più largo respiro temporale alla formula, per libri che interpretassero e rappresentassero aspetti, caratteri e aspirazioni dell’età contemporanea”.
 
Qual è stata la sua importanza per la letteratura italiana?
A.B. “La notorietà dell’iniziativa arrivò con i primi anni Sessanta, con riconoscimenti attribuiti a scrittori allora emergenti come Beppe Fenoglio e Leonardo Sciascia. Il “Prato” cominciò a caratterizzarsi anche come una specie di “premio di riabilitazione” di fine stagione per libri di grande interesse che erano stati ignorati da altre rassegne letterarie più famose, come lo “Strega”, il “Viareggio” e il “Campiello”. Risaltarono così volumi come “Il maestro di Vigevano” di Lucio Mastronardi (1962), “La traduzione” di Silvano Ceccherini (1963) e soprattutto “Lettera a una professoressa”: quest’opera, pubblicata nel 1967, riproduceva il lavoro di un gruppo di ragazzi della scuola di Barbiana, situata nel Mugello, che era stato coordinato dall’educatore religioso don Lorenzo Milani. Una particolarità, questa, che avrebbe accompagnato l’iniziativa fino agli inizi degli anni Settanta. E che diventò, allora in senso positivo, un segno di distinzione e di merito nel panorama letterario italiano.
Pur essendo un cosiddetto “premio minore”, il “Prato” emerse per la coerenza e imparzialità delle sue scelte, effettuate da una giuria composta da intellettuali di grande levatura, i cui dibattuti verdetti ne dimostravano la non facile volontà di esprimersi in piena indipendenza da pressioni esercitate da ambienti letterari e da grossi editori. Sibilla Aleramo, Franco Antonicelli, Piero Jahier, Piero Calamandrei, Geno Pampaloni, Mario Tobino, Arrigo Benedetti, Salvatore Quasimodo, Luigi Baldacci furono fra i prestigiosi nomi che ne fecero parte”.
 
Ritiene che i tempi potrebbero essere maturi per la rinascita di iniziative di questo genere?
A.B. “Personalmente ritengo di no, anche se non sono mancate proposte per un rilancio della rassegna letteraria, terminata nel 1990. Al di là di dare vita ad un certo tipo di iniziativa da un punto di vista originale, è fondamentale che ci sia uno stanziamento di budget solido e non limitato al breve periodo.
Inoltre, per una definizione generale di cosa sia una manifestazione letteraria di questo tipo, mi ritrovo perfettamente nelle parole espresse da Ferdinando Camon, che vinse il “Premio Prato” con la sua opera “La vita eterna” nel 1972, prima di imporsi in seguito in tutte le rassegne nazionali più affermate come il “Viareggio”, lo “Strega” e il “Campiello”. Sul suo sito web, nella sezione “Premi”, scrive infatti: “I premi non sono giudizi critici, non sono saggi e non sono articoli. Non aggiungono nulla ai libri. Nella vita dei libri, le vicende che contano sono gli incontri con i lettori, con i giornali, con le riviste, con le scuole e le università, e, attraverso le traduzioni, con le lingue e le culture straniere”.
 
 
Alessandro Bicci (Firenze, 1966), è laureato alla facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” dell’Università degli Studi di Firenze. Giornalista, ha scritto per testate come “Il Corriere di Prato” e “Il Tirreno”. Attualmente collabora con il settimanale “Toscana Oggi”. Ha pubblicato studi e ricerche sulla storia di Prato tra l’Unità d’Italia e l’età contemporanea. Ultime ricerche uscite: il libro Prato 1918-1922. Nascita e avvento del fascismo (Edizioni Medicea Firenze, 2014) e il saggio L’inaugurazione della statua di Giuseppe Mazzoni in piazza Duomo (rivista semestrale “Prato, Storia e Arte”, dicembre 2015).

Notizia pubblicata il 02/08/17
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