“Il giornalista pubblico”: è uscito il 10^ volume della collana Quaderni della Formazione
Come funziona la comunicazione nella PA e quale deve essere il ruolo del giornalista: è dedicato a queste tematiche il libro “Il giornalista pubblico”, scritto da Michele Taddei, vice-presidente di Odg Toscana e pubblicato nella collana Quaderni della Formazione.
Si tratta della 10^ uscita della collana promossa da Fondazione Ordine dei giornalisti della Toscana e Pacini Editore con l’obiettivo di aiutare i giornalisti, e non solo, a crescere professionalmente, e approfondire alcune tematiche oltre alle naturali attività di aggiornamento professionale.
Il volume contiene anche un testo inedito di Carlo Bartoli, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti.
In oltre 200 pagine, viene descritto il giornalista pubblico ovvero colui che si occupa della comunicazione della pubblica amministrazione, come è cambiato il suo ruolo negli anni e quale può essere in futuro. Una figura che è notevolmente cresciuta, a partire dal riconoscimento della legge 150/2000 sulla comunicazione pubblica che, per la prima volta, riconosce che a svolgere attività di informazione negli uffici stampa debbano essere iscritti all’Ordine dei giornalisti.
Ne abbiamo parlato con l’autore Michele Taddei.
Chi è il giornalista pubblico e qual è il suo ruolo nella comunicazione della PA?
M.T. “Giornalista pubblico è il giornalista che lavora per conto di una pubblica amministrazione. Da qualche tempo, con il contratto collettivo nazionale, ne è stato definito il profilo di “specialista nei rapporti con i media”, l’inquadramento, e i compiti. Ci sono voluti quasi due decenni dalla legge n.150 del 2000 che stabiliva, per la prima volta, che gli uffici stampa dovevano essere costituiti da personale iscritto all’Ordine. Si tratta di un notevole passo in avanti che ne riconosce finalmente la natura pienamente giornalistica, distinguendo peraltro rispetto a chi si occupa di comunicazione. Si tratta adesso di fare un salto di qualità, anche mentale. A cominciare dalla definizione. Chi svolge questo ruolo non è più un addetto stampa, cioè “assegnato” a tenere i rapporti con la stampa, ma appunto giornalista a tutto tondo, con la specializzazione nel settore dell’informazione pubblica. Del resto, questo vale anche per le altre professioni che compongono la PA, dove il ragioniere non è un addetto ai conti e l’architetto non è un addetto ai progetti. Lo stesso deve valere anche per il giornalista. Il suo è un ruolo delicato, con precise responsabilità anche sul piano penale, poiché deve avere piena consapevolezza che rischia di persona qualora si trovi a divulgare notizie dal contenuto diffamatorio o contrarie alle carte deontologiche che regolamentano la professione. Ruolo dunque di garante della veridicità delle informazioni che vengono prodotte dalla pubblica amministrazione, a tutela dell’interesse generale e nel rispetto del cittadino“.
Com’è cambiato il rapporto tra giornalisti nelle redazioni e negli uffici stampa negli anni?
M.T. “È cambiato tanto velocemente quanto velocemente è cambiato il nostro mondo, che riesce a fatica a stare dietro alla rivoluzione tecnologica che continuamente ci obbliga a rincorrere le novità. Da un tempo in cui si finiva a lavorare in un ufficio stampa quasi per ripiego o per caso ad oggi dove il mondo della comunicazione è cambiato, così come anche quello della PA. Negli enti pubblici adesso c’è bisogno di figure motivate, professionalità altamente preparate, formate e aggiornate per rispondere alle continue sollecitazioni, sia dei colleghi delle redazioni che dei cittadini che sempre di più interagiscono con il lavoro dell’ufficio stampa. Sono convinto che oggi fare bene il giornalista pubblico sia un’attività ancora tutta da scoprire e che può rappresentare uno sbocco professionale per tanti, in particolare i giovani. Per il resto, è chiaro che il rapporto tra colleghi rimane sempre determinato dalle nostre carte deontologiche e dunque improntato al massimo della collaborazione e del rispetto. Ma non c’è dubbio che oggi la sfida è quella di rinsaldare, pur nei cambiamenti in atto, un triplice patto fiduciario che lega il giornalista pubblico alla propria Amministrazione di appartenenza, ai media (e dunque ai colleghi) con i quali quotidianamente interagisce e si confronta e, infine, al cittadino per il quale, in ultima analisi, presta il suo servizio”.
In questi anni il mondo della comunicazione è notevolmente cambiato, grazie anche alla diffusione di nuovi strumenti: quali sono oggi le competenze fondamentali per un giornalista che vuole lavorare nella comunicazione delle PA?
M.T. “Occorrono competenze sempre nuove, in grado, se possibile, di non subire le novità dell’innovazione tecnologica ma di governarle. Penso al tema dell’intelligenza artificiale, agli algoritmi, ai Big Data che, nel caso della PA, significano soprattutto trasparenza. Da più parti si parla di “infocrazia” come regime dell’informazione e forma di dominio dei sistemi di informazione (IA, algoritmi …) in grado sempre di più di condizionare processi sociali, economici e persino politici. Fenomeni radicalizzati dai Social che hanno mercificato anche il giornalismo. Per provare a governare tutto questo c’è dunque bisogno di figure in grado di interagire con il mondo digitale: designer, video maker, grafici, sviluppatori e in genere esperti con specifiche competenze, tecnologiche e informatiche. Il giornalista dunque deve saper essere multitasking come si dice oggi, in grado di aggiungere alla sua formazione umanistica anche una solida base scientifica e tecnologica”
Come giornalista che da anni lavora per la comunicazione di un ente pubblico, come vede il futuro di questo settore?
M.T. “Come dicevo, vedo un futuro tutto da scrivere ma fondamentalmente positivo. Quella che abbiamo di fronte è una sfida per l’intera categoria. O ci rinnoviamo o finiremo per soccombere. La crisi dell’editoria tradizionale è sotto gli occhi di tutti, così come le difficoltà delle piattaforme digitali di informazione a garantire una buona occupazione per chi ci lavora. Ma sempre più ci sarà bisogno di buona informazione, prodotta correttamente, veritiera e certificata per contrastare non solo le fake news ma proprio una certa idea di mondo dominato dalla disinformazione o, ancora peggio, da una qualche forma di veridicità che prevale sulla verità sostanziale dei fatti, come certa letteratura distopica ci ha nel tempo messi in guardia. Dunque, soprattutto nei paesi democratici come il nostro c’è bisogno di un giornalismo libero in grado di produrre notizie attendibili e buona informazione e di distribuirle nelle diverse piattaforme, da quelle digitali a quelle tradizionali. Un compito che spetta anche al giornalista pubblico“.
Il libro “Il giornalista pubblico” può essere acquistato sul sito di Pacini Editore oppure presso La Libreria, spazio culturale e punto librario di Pacini Editore, ospitato all’interno di Palazzo Pucci, nel centro storico di Firenze