Inchiesta Mafia Capitale: Odg Toscana a fianco dei giornalisti

L’informazione responsabile e completa sull’attività giudiziaria è un diritto inalienabile dei cittadini e un dovere per i giornalisti. Eppure, in riferimento all’inchiesta su Mafia capitale, che mette a nudo un livello di corruzione che ha suscitato l’allarme e l’indignazione dell’opinione pubblica, c’è chi chiede di punire i giornalisti che hanno dato conto di quanto è accaduto.    Il controllo pubblico, attraverso l’informazione, sulle attività di indagine e sullo svolgimento dei processi è uno dei cardini della democrazia: compito dei giornalisti è assicurare il diritto all’informazione della comunità, un compito reso più difficile in Italia da alcune norme del codice di procedura penale e dal codice penale che collidono con la Convenzione dei diritti dell’uomo e che hanno determinato più volte la condanna dell’Italia e di altri Paesi da parte della Corte dei diritti dell’Uomo.   La Camera penale di Roma ha presentato un esposto nei confronti di decine di giornalisti colpevoli di aver riportato atti non più coperti da segreto. In sostanza, la colpa di questi colleghi è di aver riportato integralmente brani di questi atti e non di averne fatto un riassunto. Quasi che leggere il sunto di un atto sia meglio che leggere il testo del provvedimento.    Si vuol giocare su una sottigliezza, sulla distinzione fra atto e contenuto dell’atto (non più coperto da segreto) quasi che potessimo credere che informazioni troppo precise possano condizionare il giudice. In gioco, in realtà, è la libertà di informazione a cui non può essere messa la museruola, come invece accade nei regimi totalitari.   Per questo, il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Toscana chiede l’archiviazione dell’esposto. Nelle classifiche internazionali in materia di libertà di informazione, l’Italia è tra i fanalini di coda e punire i giornalisti che hanno raccontato il malcostume di Mafia capitale significherebbe fare ulteriori passi indietro e esporre il nostro Paese ad una nuova condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo.  

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