Riforma Ordine: perché non ho firmato il documento dei vicepresidenti di regione!
Pubblichiamo l'intervento di Michele Taddei, vicepresidente dell'Ordine dei Giornalisti della Toscana, in merito alla mancata sottoscrizione del documento sulla Riforma dell'Ordine presentato dai vicepresidenti regionali nei giorni scorsi. Provo a spiegare perché non c’è la mia firma sul documento siglato da molti vicepresidenti degli Ordini regionali. Come ho avuto modo di dire telefonicamente al vicepresidente nazionale Santino Franchina quando mi inviò la bozza del testo, avevo condiviso il documento dei presidenti degli Ordini regionali che chiede con forza di procedere speditamente con la riforma, senza se e senza ma. Mi sembrava ampiamente sufficiente a spiegare le difficoltà del tempo che stiamo vivendo. Pertanto, mi era subito parso ridondante un ulteriore documento in nome del pubblicismo italiano che, nell’ammetterne la necessità, pone una serie di riserve alla riforma prima ancora che se ne conoscano i dettagli, richiamando una presunta contrapposizione tra pubblicisti e professionisti di cui francamente non ne sentivo la necessità. Soprattutto in questo momento e alla luce di un istituto come il ricongiungimento che ha permesso a tanti pubblicisti di accedere al professionismo, nonostante la condizione lavorativa precaria. Oggi bisogna insistere su quella battaglia come su altre, a partire dall’accesso alla professione, ma occorre evitare ogni e qualsivoglia divisione nella categoria, troppo debole per sopportare sfide e distinguo tra professionisti e pubblicisti. Anche perché questi ultimi presentano una casistica così ampia che una sola pagina non conterrebbe tutte le infinite sfumature del pubblicismo in Italia. Cito a mo’ di esempio, e parafrasando il grande Beppe Viola, quelli che fanno l’attività in modo esclusivo ma non ancora praticanti, quelli che sono in fase di ricongiungimento, quelli che collaborano saltuariamente ma svolgono altre attività, quelli che non scrivono più da anni. Potremmo forse pensare ad un rappresentante per ogni sfumatura? Io per primo avrei difficoltà a riconoscermi in una sola. Un punto di contatto che intravedo in tutte queste casistiche, almeno per quanto attiene il tema della rappresentanza a livello nazionale, potrebbe trovarsi nella posizione previdenziale attiva che dovrebbe riguardare, in linea di principio e in via tendenziale, la stragrande maggioranza degli iscritti. In Toscana, ad esempio, non dimentichiamo mai di dire ai giovani che per la prima volta prendono il tesserino da pubblicista che iscriversi all’Inpgi è un preciso obbligo di legge. Credo che su questo punto dovremmo discuterne nel modo più ampio e condiviso possibile, senza porre rifiuti aprioristici, posti questi sì come elemento discriminante di ogni discussione. Se si vuole guardare al futuro della professione che vive oggi una crisi d’identità, prima ancora che economica e d’inquadramento, occorre concentrare tutti gli sforzi per ottenere una riforma sacrosanta che riveda in primo luogo le forme di accesso e proponga una rappresentanza, soprattutto nazionale, non più elefantiaca ed ingessata come abbiamo ora, che sia riconoscibile all’esterno, meno costosa, più efficace ed efficiente e soprattutto in grado di interpretare i bisogni di un mondo che non è più quello d’un tempo. E, naturalmente, che tenga conto delle giuste istanze di rappresentanza territoriale, come già accade con le regole per la Federazione della Stampa. Insistere sulle divisioni e continuare ad alimentare rivendicazioni apparentemente più di poltrone e posti che di altro, mi pare un esercizio che ha il sapore di un passato che non c’è più e non tornerà. Un errore di prospettiva che non possiamo permetterci. Michele Taddei